Perché le imprese non assumono neolaureati in Italia?
Indice
- Contesto: il disagio dell’inserimento lavorativo dei neolaureati
- I risultati del sondaggio Intelligent: i numeri della sfiducia
- Le ragioni della percezione negativa verso i neolaureati
- L’etica del lavoro, tra stereotipi e cambiamento generazionale
- Presunzione e fragilità emotiva: nuove accuse ai giovani laureati
- Cosa chiedono davvero le aziende ai neolaureati?
- Il divario tra università e mondo del lavoro
- Le strategie per migliorare l’occupabilità dei laureati
- Esperienze a confronto: storie e testimonianze
- Il quadro internazionale e la situazione italiana
- Conclusioni: tra opportunità mancate e possibili soluzioni
Contesto: il disagio dell’inserimento lavorativo dei neolaureati
Il tema delle difficoltà di inserimento dei giovani laureati nel mercato del lavoro italiano è ormai strutturale. L’ultimo sondaggio promosso da Intelligent – pubblicato il 10 luglio 2025 – riporta dati che confermano lo scetticismo crescente delle imprese verso l’assunzione di neolaureati. Parole come "imprese non assumono neolaureati”, “difficoltà assunzione neolaureati” e "problemi assunzione laureati" accompagnano da anni il dibattito sul mercato occupazionale, ma ora la questione sembra aver raggiunto un nuovo livello di criticità. Come si è giunti a questo punto? E cosa emerge davvero dal confronto tra giovani laureati e aziende?
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un duplice fenomeno: da un lato una costante crescita dei livelli di istruzione, con sempre più giovani che raggiungono il titolo universitario; dall’altro una fragilità del tessuto imprenditoriale, che fatica ad assorbire questa nuova leva di capitale umano. Il risultato è una frustrazione generalizzata, che coinvolge tanto i giovani in cerca di lavoro quanto i manager e i responsabili delle assunzioni.
I risultati del sondaggio Intelligent: i numeri della sfiducia
Le cifre emerse dal sondaggio condotto da Intelligent parlano chiaro. Il 25% dei responsabili delle assunzioni considera i neolaureati poco preparati per il mondo del lavoro. Questo dato fotografa innanzitutto una distanza tra ciò che viene appreso nei percorsi universitari e le competenze richieste in azienda. Ma non basta. Un manager su otto non intende assumere neolaureati nel 2025: una percentuale significativa, se si considera quanto il ricambio generazionale sia oggi una priorità per molte realtà imprenditoriali, complici trend demografici che vedono il progressivo invecchiamento della forza lavoro.
Ma il quadro si fa ancora più critico quando si considerano gli altri dati: ben il 33% dei responsabili delle assunzioni ritiene che i neolaureati non abbiano l’etica del lavoro necessaria; quasi il 30% li giudica presuntuosi e il 27% pensa che si offendano facilmente. Parliamo di una combinazione di accuse che va dalla mancanza di preparazione tecnica a quella morale e caratteriale, indicando le radici profonde dell’"opinione negativa delle aziende sui neolaureati".
Le ragioni della percezione negativa verso i neolaureati
Ma perché le aziende mostrano questo livello di diffidenza nei confronti dei giovani laureati? Secondo il sondaggio, le principali motivazioni vanno individuate nella percezione di uno scarso allineamento tra la formazione accademica e le reali esigenze del mercato. I manager intervistati lamentano spesso che i giovani laureati non siano immediatamente produttivi ma necessitino di lunghi periodi di formazione aggiuntiva, con conseguenti costi e tempi che le imprese temono di non poter sostenere.
Inoltre, secondo molti responsabili delle risorse umane, la formazione universitaria non svilupperebbe sufficientemente le cosiddette "soft skills", oggi sempre più richieste: capacità di teamwork, gestione dello stress, problem solving, comunicazione efficace. Di conseguenza si crea una frattura, che rischia di penalizzare proprio quei giovani che più avrebbero bisogno di entrare nel mercato del lavoro.
L’etica del lavoro, tra stereotipi e cambiamento generazionale
Un dato che spicca è quello relativo all’ "etica del lavoro dei giovani laureati". Un manager su tre afferma che i neolaureati non sarebbero dotati dell’etica necessaria per affrontare con serietà e disciplina il lavoro quotidiano. Ma che cosa si intende davvero per “etica del lavoro” e su cosa si basa questa impressione?
Spesso i manager fanno riferimento alla disponibilità a sacrificarsi, alla flessibilità negli orari e all’attitudine a investire su se stessi al di là del proprio "tornaconto immediato". Da qui deriva l’impressione che le nuove generazioni, abituate a un bilanciamento diverso tra vita privata e lavoro, siano meno disposte a fare "sacrifici" rispetto a quelle precedenti.
Va però ricordato che molte di queste critiche rischiano di basarsi su stereotipi. La letteratura recente mette in luce come, parallelamente, i giovani abbiano una maggiore consapevolezza dei propri diritti e puntino a un lavoro che abbia senso e valore, non solo a tempo e salario. Tuttavia lo scontro generazionale tra le "vecchie" e le "nuove" idee di lavoro è parte integrante di questa difficoltà di comunicazione tra giovani laureati e manager.
Presunzione e fragilità emotiva: nuove accuse ai giovani laureati
Il 30% dei responsabili delle risorse umane che giudica i neolaureati "presuntuosi" rappresenta un’altra delle tendenze più segnalate negli ultimi anni. Le aziende lamentano che la nuova generazione si presenti ai colloqui con aspettative salariali elevate, poca voglia di "fare gavetta" e una fiducia a volte eccessiva nelle proprie capacità, a fronte – secondo le aziende – di esperienze limitate.
Parallelamente, la percezione che il 27% dei giovani si offenda facilmente alimenta l’idea di una fragilità emotiva. Il tema tocca in particolare la capacità di reggere il confronto e la critica, oltre alla tendenza a scoraggiarsi o abbandonare un’azienda davanti alle prime difficoltà. Si tratta, anche in questo caso, di una generalizzazione, ma che testimonia quanto i valori sociali e culturali siano cambiati negli ultimi anni.
Cosa chiedono davvero le aziende ai neolaureati?
Al netto delle critiche, quali sono oggi le principali richieste delle aziende ai giovani laureati? Dai dati emerge che la "preparazione al lavoro dei neolaureati" non può essere ridotta alla sola conoscenza teorica (seppure fondamentale), ma riguarda anche la capacità di adattarsi rapidamente, apprendere nuovi strumenti e lavorare per obiettivi.
Inoltre, tra gli aspetti più apprezzati figurano la disponibilità a imparare, l’attitudine alla collaborazione e la conoscenza di almeno una lingua straniera, oggi imprescindibile in molte realtà, anche medio-piccole. Le aziende prediligono candidati "proattivi", capaci di dimostrare autonomia decisionale ma anche rispetto delle regole e delle gerarchie. La flessibilità, in tempi di evoluzione tecnologica continua, viene vista come un requisito non negoziabile.
Il divario tra università e mondo del lavoro
Alla base della "difficoltà di assunzione dei neolaureati" vi è indubbiamente il gap tra università e mondo produttivo. Da tempo si parla della necessità di riformare i percorsi universitari, rendendo più centrale l’esperienza diretta in azienda attraverso stage, tirocini e laboratori pratici. Tuttavia, solo una parte dei corsi di studio, soprattutto in ambito tecnico-scientifico, offre oggi opportunità strutturate di incontro tra studenti e imprese.
Le aziende, a loro volta, lamentano che l’università non favorisca a sufficienza l’orientamento al lavoro, mentre l’accademia denuncia che il tessuto produttivo italiano non investa a sufficienza nei giovani talenti.
Le strategie per migliorare l’occupabilità dei laureati
Di fronte a questa situazione, quali possono essere le strategie di risposta più efficaci? Da un lato, si rende necessaria una maggiore collaborazione tra imprese e università, al fine di modulare l’offerta formativa sulle esigenze effettive del tessuto produttivo. I "tirocini curricolari", pensati non solo come un obbligo ma come reale esperienza professionalizzante, dovrebbero diventare la regola e non l’eccezione.
Altro aspetto chiave riguarda l’orientamento professionale. Orientarsi prima della laurea, conoscere realmente le professioni e i percorsi possibili, lavorare su "soft skills" con seminari e laboratori mirati: tutto ciò potrebbe ridurre la differenza di aspettative tra giovani e aziende.
Non meno importante è la responsabilità delle aziende nello sviluppare percorsi di affiancamento e formazione: il reclutamento dei laureati può diventare un’opportunità di crescita anche per le imprese, se trasformato in un investimento di medio lungo periodo e non solo in una ricerca di risultati immediati.
Esperienze a confronto: storie e testimonianze
Andare oltre i numeri significa dare voce da un lato ai giovani, dall’altro ai responsabili delle risorse umane. Chi cerca lavoro si racconta spesso frustrato dalle richieste di "esperienza pregressa", considerate paradossali per chi si presenta per la prima volta nel mercato occupazionale. D’altra parte le aziende sottolineano la difficoltà di trovare giovani realmente motivati e inclini alla formazione continua.
Non mancano però le esperienze positive: giovani laureati capaci di dimostrare subito valore, manager disposti a investire nella crescita delle nuove leve, realtà imprenditoriali dove il passaggio generazionale si accompagna a nuove opportunità di business e crescita.
Il quadro internazionale e la situazione italiana
La "sfiducia verso i neolaureati" è un fenomeno solo italiano? Una comparazione con altri Paesi europei mostra che il gap tra formazione e lavoro esiste ovunque, anche se in Italia sembra più marcato. Paesi come Germania e Olanda, dove l’alternanza scuola-lavoro è inserita stabilmente nei percorsi superiori e universitari, mostrano tassi di occupazione giovanile più elevati. Al contrario, nei sistemi dove l’università rimane slegata dal mondo produttivo, come in Italia, l’inserimento si fa più tortuoso.
Emergono però segnali di cambiamento: alcune università italiane hanno avviato partnership innovative con aziende, mentre diversi distretti industriali stanno scommettendo sulla formazione interna e su academy aziendali.
Conclusioni: tra opportunità mancate e possibili soluzioni
Il "mercato del lavoro per i neolaureati" resterà centrale nel dibattito pubblico. L’Italia rischia di perdere un patrimonio fondamentale di competenze ed energia, se la distanza tra mondo formativo e tessuto produttivo non verrà ridotta. La sfida è lanciata: serve una nuova alleanza tra università, imprese e giovani stessi, fondata su aspettative più realistiche, maggiore trasparenza e volontà di investire nel futuro.
Il sondaggio di Intelligent denuncia una situazione critica ma può essere anche l’occasione per ripensare profondamente le politiche di orientamento e formazione, superando le reciproche accuse tra giovani e manager. Solo così parole come “imprese non assumono neolaureati” potranno progressivamente lasciare spazio a un nuovo protagonismo delle energie più giovani nel mondo del lavoro italiano.