Licenziamenti nelle PMI: la svolta della Consulta sul Jobs Act
Il 21 luglio 2025 rappresenta una data destinata a segnare una svolta significativa nel diritto del lavoro italiano, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese (PMI). In questa giornata, la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza numero 118, che dichiara incostituzionale il tetto di sei mensilità previsto dall'articolo 9 del Jobs Act in caso di licenziamento illegittimo nelle PMI. Un pronunciamento atteso e destinato a produrre effetti dirompenti nel panorama normativo. In questo approfondimento analizziamo il significato, le cause e le conseguenze della decisione della Consulta, esaminando il contesto giuridico e sociale in cui si inserisce e offrendo una panoramica alle aziende, ai lavoratori e agli operatori del settore giuridico.
Indice
- Contesto normativo e storico del Jobs Act
- L'articolo 9 e il tetto delle sei mensilità
- La genesi della sentenza 118 della Corte Costituzionale
- I motivi dell'incostituzionalità: tutela e uguaglianza
- Le conseguenze pratiche della decisione
- Reazioni a caldo: sindacati, associazioni e giuristi
- Il futuro della normativa sui licenziamenti nelle PMI
- Sintesi e prospettive
Contesto normativo e storico del Jobs Act
Il Jobs Act, noto anche come legge 10 dicembre 2014, n. 183, è una delle riforme più incisive sul versante del diritto del lavoro negli ultimi decenni in Italia. Promosso dal governo guidato da Matteo Renzi, il provvedimento mirava a fornire maggiore flessibilità al mercato del lavoro, semplificare rapporti contrattuali e, soprattutto, razionalizzare la disciplina dei licenziamenti. Il Jobs Act introduceva infatti una netta cesura rispetto alle norme precedenti, con l’intento di rendere meno onerosa e più chiara la gestione dei licenziamenti, in particolare quelli privi di giusta causa o giustificato motivo, per favorire l’attrattività degli investimenti e la competitività delle imprese italiane.
Molti degli articoli del Jobs Act si sono successivamente intrecciati con la giurisprudenza costituzionale, soprattutto laddove si introducevano limiti risarcitori fissi e tutele differenziate tra le aziende di dimensioni maggiori e le PMI, con un impatto diretto sulla condizione di centinaia di migliaia di lavoratori.
L'articolo 9 e il tetto delle sei mensilità
Uno degli ambiti più contestati della riforma è stato l’articolo 9, che stabiliva un tetto massimo di indennità risarcitoria di sei mensilità per le piccole imprese (definite dall’ordinamento come aziende con meno di 15 dipendenti) in caso di licenziamento dichiarato illegittimo. Questo limite nasceva dall’idea che le PMI, avendo minori risorse finanziarie, dovessero poter contare su un regime differenziato rispetto alle aziende di maggiori dimensioni, dove il risarcimento era invece più ampio.
Tuttavia, tale impostazione ha suggerito più di una perplessità. A differenza delle aziende più grandi, dove la reintegrazione rappresentava un’opzione più accessibile, nelle PMI la tutela si riduceva ad un ristoro economico predeterminato e oggettivamente limitato, ritenuto da molti sindacati, addetti ai lavori e giuslavoristi come insufficiente a garantire una vera equità tra lavoratore e datore di lavoro. Così, il tema del licenziamento illegittimo nelle piccole imprese e quello della “tutela reale” sono diventati oggetto di dibattito ininterrotto per una decina d’anni, fino ad arrivare al recente intervento della Corte Costituzionale sulla “indennità licenziamento pmi”.
La genesi della sentenza 118 della Corte Costituzionale
La sentenza 118 depositata il 21 luglio 2025 nasce da una questione di legittimità sollevata da alcuni tribunali italiani, chiamati a giudicare casi di licenziamento illegittimo ai danni di dipendenti impiegati in imprese con meno di 15 lavoratori. In particolare, i giudici di merito hanno rimesso alla Consulta il dubbio che la disciplina contenuta nell’articolo 9 del Jobs Act – in riferimento al limite di sei mensilità – potesse ledere principi fondamentali della Costituzione, in particolare gli articoli che tutelano il diritto al lavoro e la parità di trattamento.
Dopo un’attenta istruttoria e l’ascolto di numerose posizioni (tra cui associazioni di categoria, sindacati e giuristi), la Corte Costituzionale ha riconosciuto fondate le istanze degli operatori, evidenziando come il tetto risarcitorio previsto risultasse non idoneo a tutelare pienamente i lavoratori delle PMI, troppo sbilanciato in favore dei datori di lavoro e privo di una adeguata differenziazione in relazione alla concreta anzianità di servizio dei dipendenti licenziati.
I motivi dell’incostituzionalità: tutela e uguaglianza
La Corte, nella sentenza 118, ha sottolineato la necessità che la legislazione sui “licenziamenti pmi jobs act” rispetti i principi di ragionevolezza, uguaglianza sostanziale e tutela effettiva del diritto al lavoro, già sanciti dalla Costituzione. In modo particolare, la Consulta ha evidenziato che:
- Il tetto uniforme di sei mensilità “appiattiva” la tutela risarcitoria per una categoria ampia di lavoratori, ignorando elementi come l’anzianità di servizio o la gravità dell’ingiustizia subita.
- Una previsione così rigida finisce per creare una disparità eccessiva rispetto alle tutele previste per i dipendenti di aziende più grandi, senza un’effettiva giustificazione legata alle esigenze delle PMI.
- Il sistema contribuisce a scoraggiare il rispetto delle corrette procedure di licenziamento, indebolendo così le garanzie previste dall’ordinamento per i lavoratori.
La decisione della Corte Costituzionale, dunque, si colloca nell’alveo di una giurisprudenza che negli ultimi anni non ha mancato di sottolineare la necessità di “tutela effettiva” contro il licenziamento illegittimo, in linea con gli indirizzi europei in tema di diritto del lavoro e pari dignità lavorativa.
Le conseguenze pratiche della decisione
L’immediata conseguenza della sentenza 118 della Corte Costituzionale è la disapplicazione del limite delle sei mensilità nelle cause concernenti “licenziamento illegittimo piccole imprese”. Non esisterà più un tetto predefinito e rigido: i tribunali dovranno ora basare la quantificazione dell’indennità risarcitoria considerando diversi parametri, tra cui anzianità lavorativa, danno effettivamente subito dal lavoratore, ruolo ricoperto, comportamenti delle parti e circostanze specifiche della vicenda.
Le “indennità risarcitorie licenziamento” dovranno quindi essere maggiormente personalizzate e proporzionate al singolo caso. Questo comporterà inevitabilmente una maggiore discrezionalità giudiziale, con una possibile variabilità tra vertenze e territori, ma garantirà una migliore risposta alle esigenze concrete di tutela dei lavoratori licenziati senza giusta causa o giustificato motivo.
Da un punto di vista generale, la sentenza pone inoltre la necessità urgente di una revisione normativa. Il legislatore sarà chiamato a riscrivere le regole in materia per evitare vuoti normativi e assicurare certezza del diritto, senza però ripristinare forme di tutela inadeguate. In attesa di un nuovo intervento legislativo, i giudici verranno guidati dai principi emergenti dalla stessa sentenza della Consulta.
Reazioni a caldo: sindacati, associazioni e giuristi
La sentenza della Corte Costituzionale, a poche ore dal deposito, ha innescato immediate reazioni. I gruppi sindacali – tra cui CGIL, CISL, UIL – hanno accolto con favore la decisione, giudicandola un passo avanti nella protezione dei lavoratori delle PMI, spesso percepiti come soggetti “deboli” del mercato. Le associazioni datoriali, dal canto loro, si sono espresse con maggiore cautela: alcune hanno riconosciuto l’importanza di una tutela congrua per i lavoratori, altre hanno segnalato il rischio di un aumento del contenzioso e degli esborsi per le piccole aziende, che potrebbero vedere crescere il rischio economico in fase di gestione del personale.
Tra i giuristi, la sentenza è stata largamente condivisa come atto dovuto di coerenza costituzionale, ma non sono mancate voci critiche: secondo alcuni, l’alleggerimento della posizione delle PMI in tema di licenziamenti era funzionale a preservare la loro competitività e a contenere il rischio di derive formalistiche che, nel passato, avevano reso più rigido il mercato del lavoro. Tuttavia, il prevalere dei principi di tutela effettiva e di uguaglianza sostanziale sembra destinato a indirizzare la nuova stagione normativa.
Il futuro della normativa sui licenziamenti nelle PMI
La sentenza 118 della Corte Costituzionale impone al Parlamento di intervenire sul regime dei “licenziamenti pmi jobs act” con una riforma che sia rispettosa tanto della flessibilità necessaria al tessuto produttivo, quanto dei diritti individuali dei lavoratori. Gli esperti suggeriscono possibili innovazioni legislative, tra cui:
- La reintroduzione di un meccanismo risarcitorio flessibile, che premi l’anzianità, la situazione economica e sociale delle parti ed eventuali pratiche virtuose dei datori di lavoro.
- Un sistema di conciliazione rafforzato, che offra soluzioni rapide, eque e meno costose rispetto al contenzioso giudiziale.
- Una campagna di formazione e informazione rivolta alle PMI, perché comprendano fin da subito la nuova cornice normativa e adottino comportamenti conformi alle regole aggiornate.
Nei prossimi mesi si prevede un acceso dibattito parlamentare, nel quale si scontreranno esigenze differenziate: da un lato la richiesta di maggiori tutele per chi lavora nelle realtà minori, dall’altro la necessità di garantire sopravvivenza e competitività alle aziende di piccole dimensioni. Rilevante sarà anche il monitoraggio degli effetti pratici della sentenza, che potrebbe indurre una nuova stagione di ricorsi e pronunce giudiziarie.
Sintesi e prospettive
La sentenza 118 della Corte Costituzionale rappresenta uno snodo essenziale nella disciplina del “licenziamento illegittimo piccole imprese” e costituisce una risposta alle aspettative di maggior equità e personalizzazione delle tutele. Venendo meno il “tetto sei mensilità incostituzionale”, si riapre un confronto approfondito sulle coordinate del diritto del lavoro italiano, nel difficile equilibrio tra la stabilità delle imprese e la protezione della dignità dei lavoratori.
Il legislatore ha ora una responsabilità cruciale: scrivere una nuova pagina che sappia contemperare le esigenze, anche contrapposte, del mondo imprenditoriale e di quello sindacale, promuovendo soluzioni innovative e allineate ai più avanzati standard europei. Le PMI, cuore produttivo e sociale del paese, attendono regole certe e sostenibili, mentre i lavoratori chiedono giustizia reale e non soltanto formale nei momenti più delicati del rapporto di lavoro.
Occorrerà dunque un forte sforzo di dialogo tra tutte le parti e una attenta osservazione dell’evoluzione giurisprudenziale e sociale, affinché la riforma attesa sia davvero uno strumento di progresso per il sistema economico e civile italiano.