Scena muta maturità: le ripercussioni all’università
Indice
- L’episodio che ha scosso Ca’ Foscari
- Dal banco della maturità ai corridoi universitari
- Analisi del fenomeno: cos’è la “scena muta”
- Il racconto del docente: tra sconcerto e denuncia pubblica
- La richiesta del “18 politico” e il dibattito sulla valutazione
- La risposta dell’università: fallimento educativo?
- Il rebus dell’orientamento e delle competenze
- Le radici scolastiche: maturità e sue evoluzioni
- Impatto psicologico: tra ansia da esame e senso di inadeguatezza
- Soluzioni possibili: prevenire la “scena muta”
- Conclusione: la sfida della formazione tra scuola e università
1. L’episodio che ha scosso Ca’ Foscari
Nelle aule della prestigiosa Università Ca’ Foscari di Venezia, uno studente si è rivolto al suo docente dopo aver sostenuto (e non superato) un esame scritto. Con voce tremante, ha chiesto almeno un voto di 18, sufficiente per superare l’ostacolo ed evitare un’altra sessione d’esame. Il professore, colpito da questa richiesta – definita “scena muta università” – ha deciso di raccontare il fatto sui social network, sollevando un caso nazionale che riporta alla ribalta il tema della scena muta maturità e delle sue ripercussioni accademiche.
L’episodio, subito rilanciato dai principali quotidiani, ha scatenato un vivace dibattito tra studenti, genitori, docenti e anche all’interno della società civile. Che cosa è accaduto di così straordinario? Secondo la ricostruzione fornita dal docente, lo studente era rimasto quasi completamente senza parole di fronte alle domande dell’esame orale, arrivando infine a supplicare per un 18. Un gesto che per molti rappresenta la punta dell’iceberg di un problema più ampio che riguarda preparazione, motivazione e rapporti tra scuola secondaria e università in Italia.
2. Dal banco della maturità ai corridoi universitari
La maturità rappresenta un rito di passaggio fondamentale per gli studenti italiani. Negli ultimi anni, però, si sono moltiplicati i casi di "scena muta": studenti bloccati, incapaci di rispondere ai quesiti nelle prove orali, sia per ansia sia – secondo alcuni – per una preparazione non sempre all’altezza. Un fenomeno che, a quanto pare, non si esaurisce con gli esami della scuola superiore. L’episodio accaduto all’Università Ca’ Foscari si inserisce infatti in un quadro più ampio di difficoltà nell’affrontare le prove cruciali degli studi superiori e universitari.
Molti docenti universitari segnalano un aumento di richieste simili: studenti che, consapevoli di essere impreparati o demotivati, chiedono almeno il voto minimo per “andare avanti”. Una tendenza che si intreccia con i problemi della scuola italiana e della transizione tra scuola e università, suscitando interrogativi sulla reale efficacia del sistema educativo.
3. Analisi del fenomeno: cos’è la “scena muta”
Per "scena muta" si intende quella situazione in cui lo studente, posto di fronte a una domanda durante un esame orale, non riesce a rispondere, mostrando evidenti difficoltà nel rielaborare o proporre anche solo una risposta approssimativa. Negli esami di maturità, così come nelle sessioni orali universitarie, la scena muta è spesso vissuta come un vero e proprio trauma: imbarazzo, senso di colpa, paura di deludere aspettative, sia proprie sia degli altri.
Secondo gli esperti, la scena muta non sempre è sintomo di superficialità o impreparazione; talvolta è la manifestazione esteriore di un’ansia paralizzante, accentuata dall’alto carico emotivo che questi esami portano con sé. Tuttavia questo fenomeno, se diventa ricorrente, segnala un problema da non sottovalutare: lo scarso allenamento al ragionamento critico e all’esposizione orale, fondamentale a ogni livello del percorso scolastico e universitario.
4. Il racconto del docente: tra sconcerto e denuncia pubblica
Nel caso di Ca’ Foscari, il docente – una figura rispettata e conosciuta nell’ambiente accademico – ha deciso di pubblicare sui social la richiesta dello studente di “mettergli 18”, esprimendo il suo stupore per una domanda così esplicita e, dal suo punto di vista, poco rispettosa delle regole della valutazione.
Nel messaggio, il docente ha sottolineato come questa istanza rappresenti “un segnale di fallimento educativo”, perché rivela una crisi di senso che coinvolge tanto la scuola quanto l’università. Pubblicando la vicenda, ha voluto denunciare pubblicamente un sistema che, a suo avviso, spinge alcuni ragazzi a vedere il voto come puro ostacolo burocratico, disconnettendolo dall’autentico processo di apprendimento e crescita personale.
La scelta di rendere pubblica la vicenda non è stata esente da critiche: c’è chi ha ritenuto esagerato «esporre» lo studente e chi invece ha lodato la franchezza e il desiderio di riportare l’attenzione su una questione che non riguarda solo un singolo caso, ma una generazione intera.
5. La richiesta del “18 politico” e il dibattito sulla valutazione
La richiesta di uno studente universitario di ottenere almeno 18, il voto minimo per superare un esame, è la riproposizione sotto nuove spoglie del cosiddetto “18 politico”, espressione celebre negli anni Settanta-Settanta che indicava – spesso con ironia polemica – la prassi di assegnare il voto base indipendentemente dalla reale preparazione.
Oggi come allora, il "18 politico" apre una discussione ampia: cosa rappresenta davvero il voto negli esami? È un riconoscimento del percorso svolto, una misura di conoscenza effettiva o solo un lasciapassare per proseguire negli studi? La richiesta dello studente rimanda alla funzione stessa dell’università: luogo di crescita culturale o centro di smistamento di titoli?
In molti sottolineano che la pressione per superare esami, data la rigidità di alcune carriere accademiche e la competizione crescente, può spingere anche i più volenterosi a tentare di "negoziare" il voto pur di non bloccare il proprio percorso. La questione diventa quindi emblematica non solo delle carenze individuali, ma delle storture di un sistema che fatica a coniugare meritocrazia, supporto e inclusività.
6. La risposta dell’università: fallimento educativo?
Il professore di Ca’ Foscari ha definito quanto successo un “segnale di fallimento educativo università” e non solo un semplice incidente di percorso. Ma cosa si intende per fallimento educativo in questo contesto? Secondo la sua visione, è il risultato di una catena di responsabilità: parte dalla scuola, dove non sempre si valorizzano il pensiero critico e la capacità di argomentare; prosegue all’università, dove la valutazione rischia di perdere il suo senso formativo e diventare macchina burocratica.
Il fallimento educativo si manifesta nella difficoltà a motivare e coinvolgere gli studenti, formandoli all’autonomia, alla responsabilità e al confronto con la complessità. Il rischio è duplice: da un lato, istituzioni che si limitano ad applicare voti senza veri feedback; dall’altro, studenti che finiscono per interiorizzare l’idea che ciò che conta sia solo "passare il turno", senza preoccuparsi della crescita personale.
7. Il rebus dell’orientamento e delle competenze
Il passaggio dalla scuola superiore all’università, in Italia, resta ancora oggi problematico. Lo dimostrano dati e testimonianze: molti studenti arrivano all’università senza aver sufficientemente lavorato su metodo di studio, organizzazione, capacità espositiva. I casi come quello accaduto a Ca’ Foscari mettono in luce il bisogno urgente di rafforzare i percorsi di orientamento, accompagnamento e tutoraggio, sia durante le scuole superiori che nei primi anni universitari.
Soltanto così sarà possibile ridurre episodi di scena muta università e, soprattutto, insegnare agli studenti a vivere l’esame come una verifica di sé e delle proprie competenze, non come insormontabile minaccia.
8. Le radici scolastiche: maturità e sue evoluzioni
I problemi che emergono negli esami universitari spesso affondano le loro radici nei modelli di valutazione adottati fin dai tempi della scuola superiore. L’esame di maturità, infatti, è stato oggetto di profondi cambiamenti negli ultimi decenni, alternando centralità della prova orale, valorizzazione dei percorsi individuali, introduzione delle prove interdisciplinari. Tuttavia, molte delle fragilità nell’esposizione orale e nella gestione dello stress derivano dalla mancanza di esercizio costante e dalla difficoltà ad abituare gli studenti a parlare in pubblico.
Nel dibattito attuale si discute molto sul ruolo degli orali maturità e sulle ripercussioni a lungo termine: una scuola troppo “notista”, priva di stimoli a discutere e argomentare, produce studenti che nel momento del confronto cedono alla scena muta. Questo problema, come dimostra il caso Università Ca’ Foscari, si trascina spesso negli anni successivi e rischia di diventare un ostacolo alle vere pari opportunità di accesso e successo negli studi universitari.
9. Impatto psicologico: tra ansia da esame e senso di inadeguatezza
Non va sottovalutato l’aspetto emotivo di queste situazioni. I casi di scena muta maturità e università hanno quasi sempre una forte componente psicologica, legata tanto alla pressione sociale quanto alle aspettative familiari e personali. Lo studente che chiede “18” non sempre rifiuta il merito; spesso, semplicemente si sente schiacciato da un sistema che premia rapidità, efficienza, performance, e finisce per ignorare il percorso soggettivo.
Negli ultimi anni, le università hanno investito di più in sportelli di ascolto e servizi di counseling per aiutare gli studenti a superare blocchi, ansie, crisi da esame. Tuttavia, la strada da fare è ancora lunga, e casi come quello di Ca’ Foscari dimostrano che il problema è sia strutturale sia culturale.
10. Soluzioni possibili: prevenire la “scena muta”
Cosa si può fare, concretamente, per arginare il fenomeno della scena muta università? Gli esperti propongono diverse strategie:
- Più esercitazioni orali già a scuola, per abituare gradualmente gli studenti all’esposizione pubblica;
- Valutazioni formative oltre quelle sommative, che mirino a restituire feedback utili allo studente;
- Percorsi di tutoraggio universitario peer-to-peer, in cui studenti più esperti aiutano i neo-iscritti a gestire l’ansia da esame;
- Maggiore dialogo tra scuola e università sui prerequisiti e sulle attese;
- Iniziative di orientamento efficaci e personalizzate.
Il punto di partenza resta la convinzione che il voto non debba mai essere un “premio di consolazione”, ma il risultato di un percorso consapevole e, possibilmente, vissuto con serenità.
11. Conclusione: la sfida della formazione tra scuola e università
La vicenda di Ca’ Foscari ripropone, in modo drammatico, la necessità di ripensare sia le pratiche valutative sia il ruolo della scuola e dell’università nella formazione delle nuove generazioni. Come insegnanti, studenti e istituzioni possono collaborare per trasformare episodi di scena muta e richieste di “18 politico” in occasioni di crescita?
Servono fiducia, investimenti, innovazione metodologica, ma anche una cultura che valorizzi la fatica, la resilienza e la capacità di imparare dai propri errori senza cedere alla tentazione del “tutto e subito”. Solo così si potrà restituire senso agli esami, rigenerare una vera passione per lo studio e, soprattutto, preparare studenti e cittadini all’altezza delle sfide future di una società complessa e in continuo cambiamento.