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IA in Italia: tra ottimismo, uso diffuso e poca conoscenza
Tecnologia

IA in Italia: tra ottimismo, uso diffuso e poca conoscenza

Disponibile in formato audio

Nonostante l'aumento di ottimismo, solo il 7% degli italiani conosce realmente l'intelligenza artificiale. Preoccupazioni su sicurezza e disinformazione.

IA in Italia: tra ottimismo, uso diffuso e poca conoscenza

Indice

  • Introduzione
  • Il crescente ottimismo verso l’intelligenza artificiale
  • Una diffusione senza consapevolezza: l’utilizzo dell’IA tra gli italiani
  • La conoscenza dell’IA resta limitata: il dato allarmante del 7%
  • Timori diffusi: sicurezza informatica e privacy
  • Disinformazione e fonti poco affidabili: il divario informativo
  • Gli strumenti di IA più utilizzati in Italia
  • L’importanza dell’educazione digitale e della formazione sull’IA
  • Conclusioni

Introduzione

L’intelligenza artificiale sta rapidamente cambiando il volto della società moderna, offrendo nuove opportunità ma anche sollevando interrogativi etici, culturali e di sicurezza. Nel contesto italiano, l’interesse per l’IA è in crescita e, stando agli ultimi dati di una ricerca condotta a livello nazionale, il 21% degli italiani si dichiara ottimista riguardo allo sviluppo di queste tecnologie. Ma dietro questa ventata di ottimismo si celano criticità importanti: solo il 7% conosce davvero l’intelligenza artificiale nei suoi meccanismi e potenzialità. In uno scenario dove il 77% degli italiani già utilizza strumenti basati sull’IA e il 67% teme per la sicurezza informatica, non sorprende che il 96% segnali forti criticità nella qualità e affidabilità delle informazioni su questo tema. La panoramica che emerge pone l’accento sulla necessità di rafforzare la preparazione digitale del Paese, al fine di favorire uno sviluppo consapevole, responsabile e sostenibile dell’innovazione tecnologica.

Il crescente ottimismo verso l’intelligenza artificiale

L’ottimismo, in tema di tecnologia, è un indicatore prezioso che riflette l’attitudine di una società nei confronti del cambiamento. Secondo la recente indagine pubblicata a luglio 2025, il 21% degli italiani si dichiara «molto ottimista» riguardo ai progressi dell’intelligenza artificiale. Si tratta di un balzo significativo rispetto al 16% registrato nel 2024, segno di una fiducia crescente. Questo dato, in parte, può essere interpretato come il risultato di una diffusione maggiore di strumenti digitali applicati alla vita quotidiana, ma anche connesso alle promesse della tecnologia in settori strategici come la salute, l’istruzione, la pubblica amministrazione e la competitività delle imprese italiane. Ad alimentare questa fiducia contribuiscono campagne informative, esempi positivi e applicazioni che stanno dimostrando come l’IA possa migliorare la qualità della vita.

Tuttavia, l’ottimismo non è uniforme: le fasce di età più giovani risultano più fiduciose rispetto agli adulti, evidenziando una certa familiarità con l’innovazione digitale. Allo stesso tempo, restano sacche di scetticismo e preoccupazione, spesso dovute a una scarsa comprensione dei processi e degli effetti collaterali correlati all’uso dell’IA. D’altra parte, il salto di cinque punti percentuali in dodici mesi è un segnale tangibile che la società italiana sta iniziando a vedere nell’intelligenza artificiale un volano di progresso, benché non ancora nella sua totalità.

Una diffusione senza consapevolezza: l’utilizzo dell’IA tra gli italiani

Un dato che emerge con forza dalla ricerca è quello relativo all’effettiva penetrazione dell’IA nella vita quotidiana degli italiani. Il 77% del campione intervistato dichiara infatti di utilizzare applicazioni o strumenti basati su intelligenza artificiale – dai motori di ricerca alle app di messaggistica, dagli assistenti vocali alla generazione di contenuti testuali e multimediali. Questa diffusione è particolarmente evidente tra i lavoratori del terziario e tra chi svolge attività di studio o aggiornamento professionale, ma l’utilizzo si estende anche alle fasce più adulte e meno alfabetizzate digitalmente, spesso senza che l’utente sia pienamente consapevole della natura algoritmica di certi processi.

Le principali applicazioni di IA molto diffuse in Italia comprendono i suggerimenti personalizzati di shopping online, i filtri antispam nelle e-mail, i chatbot di assistenza clienti e i sistemi di raccomandazione dei contenuti nei social e nelle piattaforme di streaming. Non sempre però gli utenti sono coscienti di quando e come l’IA intervenga nella loro esperienza digitale, un dato che trova conferma nei livelli ancora troppo bassi di conoscenza specifica.

La conoscenza dell’IA resta limitata: il dato allarmante del 7%

Il dato più problematico che proviene dall’indagine riguarda proprio il livello di padronanza dell’argomento. Solo il 7% degli italiani ammette di avere una conoscenza approfondita dell’intelligenza artificiale. Ciò significa che, a fronte di una diffusione massiccia e di un crescente ottimismo, la gran parte degli italiani resta spettatrice di processi che non padroneggia né comprende davvero. Questo scenario comporta rischi per la gestione informata delle tecnologie, per la capacità di valutare criticamente i loro effetti e per l’adozione di comportamenti sicuri online.

Il divario di conoscenza si osserva trasversalmente: non riguarda solo i cittadini comuni, ma spesso anche categorie professionali che sarebbero invece chiamate a gestire, promuovere o regolamentare l’innovazione tecnologica. Le cause di questa scarsità vanno ricercate, tra le altre cose, in un sistema educativo che si è attardato nell’adeguare l’offerta formativa, e in una scarsità di fonti informative autorevoli e accessibili al grande pubblico. Si sottolinea dunque una necessità urgente di percorsi di formazione mirati su temi come la comprensione degli algoritmi, la gestione della privacy, le logiche di automazione e la capacità critica nell’uso delle informazioni generate dall’IA.

Timori diffusi: sicurezza informatica e privacy

Se da un lato cresce l’ottimismo verso l’intelligenza artificiale, dall’altro si fanno sempre più forti le preoccupazioni legate alla sicurezza informatica. Il 67% degli italiani ammette di temere per l’incolumità dei propri dati personali in un contesto digitale dove le capacità predittive, collezionistiche e manipolative dell’IA sono ancora poco comprese. Le paure principali riguardano il furto d’identità, l’accesso improprio a dati sensibili, la minaccia da parte di cybercriminali e la difficoltà di comprendere la reale finalità dietro alcuni servizi digitali che raccolgono e analizzano dati in modo automatico.

Questa insicurezza è rafforzata da episodi di cronaca che hanno visto l’IA impiegata per generare phishing, deepfake, oppure per facilitare campagne massicce di disinformazione a scopo politico o economico. In assenza di una solida cultura digitale, i cittadini rischiano di non essere in grado di difendersi efficacemente da tali attacchi, né di maturare una visione consapevole delle minacce emergenti. Le aziende, da parte loro, investono in cyber-sicurezza ma lamentano una carenza di competenze specifiche tra lavoratori e utenti. L’aspetto normativo, infine, rimane spesso indietro rispetto al ritmo dell’innovazione, creando spazi di vuoto regolatorio che favoriscono abusi e incertezze.

Disinformazione e fonti poco affidabili: il divario informativo

Un altro dato cruciale della ricerca riguarda la percezione della qualità delle fonti informative sull’intelligenza artificiale. Ben il 96% degli intervistati ritiene che le informazioni disponibili attualmente siano carenti o inadeguate. Questa percentuale schiacciante segnala una crisi di fiducia nei confronti dei media tradizionali, ma anche una disaffezione verso le piattaforme digitali non regolamentate, spesso piene di fake news, scarsa trasparenza e narrazioni allarmistiche o esagerate.

La difficoltà di trovare fonti affidabili impedisce agli italiani di formarsi un’opinione equilibrata sull’IA, alimentando credenze distorte e ostacolando la diffusione di una cultura digitale solida. Tra le principali criticità individuate vi sono la mancanza di approfondimento, il linguaggio troppo tecnico o, al contrario, eccessivamente semplificato, e l’assenza di un confronto pubblico aperto e informato. Tale situazione diventa ancora più problematica quando l’IA è utilizzata essa stessa per amplificare la disinformazione, come nel caso dei sistemi di generazione automatica di notizie false o alterate.

Gli strumenti di IA più utilizzati in Italia

L’intelligenza artificiale si esprime in molteplici applicazioni nella vita quotidiana degli italiani. Tra gli strumenti di IA più diffusi in Italia spiccano:

  • Assitenti vocali come Alexa, Google Assistant e Siri, che aiutano nella gestione domestica o nello svolgimento di processi lavorativi;
  • Sistemi di raccomandazione (Netflix, Spotify, Amazon) che suggeriscono contenuti sulla base delle preferenze degli utenti;
  • Chatbot per l’assistenza clienti, adottati sia da aziende pubbliche che private;
  • Software di generazione testi o immagini, sempre più presenti nell’ambito della comunicazione, del marketing e anche della creatività personale;
  • Sistemi automatici di sicurezza, come antivirus intelligenti e filtri anti-phishing.

Pur trattandosi di strumenti ormai alla portata di tutti, restano poco compresi i meccanismi che li regolano. La cosiddetta automazione invisibile contribuisce a rendere l’utente passivo, accentuando dipendenze e talvolta abbassando la soglia di attenzione nei confronti dei rischi connessi all’uso indiscriminato di queste tecnologie.

L’importanza dell’educazione digitale e della formazione sull’IA

Tutto ciò sottolinea con forza la necessità di un intervento sistemico sul fronte dell’educazione digitale. L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, paga il ritardo nell’inserimento della formazione tecnologica e scientifica nei programmi scolastici e universitari. Servono campagne strutturate, accessibili e capillari che spieghino il funzionamento dell’IA, mettendo in guardia da rischi ma anche sottolineando i vantaggi dell’adozione consapevole di queste tecnologie.

Le istituzioni, a partire dalla scuola, dovrebbero prevedere percorsi di alfabetizzazione digitale che consentano ai giovani – ma anche agli adulti in formazione continua – di comprendere non solo come funzionano le tecnologie, ma anche il contesto etico, sociale e culturale in cui queste si inseriscono. Un simile approccio deve estendersi anche al mondo delle imprese, delle pubbliche amministrazioni e delle professioni sanitarie, per evitare che la competitività e la sicurezza vengano compromesse da scelte tecnologiche non ponderate.

Al centro di questa rivoluzione culturale ci devono essere le competenze trasversali: pensiero critico, capacità di lavorare con i dati, consapevolezza delle implicazioni giuridiche e sociali dell’automazione. Solo così sarà possibile colmare quel gap informativo e garantire all’Italia un ruolo da protagonista nello scenario internazionale dell’intelligenza artificiale.

Conclusioni

In questa fase storico-tecnologica, l’Italia si trova di fronte a un bivio cruciale. Le ricerche sull’intelligenza artificiale nel 2025 mostrano che, pur in presenza di un ottimismo crescente e di una penetrazione ormai capillare degli strumenti IA, la conoscenza approfondita resta appannaggio di una ristretta élite. I rischi connessi alla sicurezza informatica e alla disinformazione non possono essere sottovalutati, altrimenti i benefici dell’innovazione rischiano di essere annullati dagli effetti collaterali.

Per invertire questa tendenza, è necessario uno sforzo collettivo che coinvolga istituzioni, scuola, università, aziende e cittadini. Solo promuovendo una cultura digitale diffusa sarà possibile affrontare con consapevolezza sfide e opportunità, evitando che l’Italia perda terreno in un settore strategico per il futuro sociale ed economico del Paese. Le parole chiave di domani saranno: formazione, sicurezza, trasparenza e inclusione digitale.

Pubblicato il: 17 luglio 2025 alle ore 11:35

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