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Italia e imprenditorialità: luci e ombre nel Rapporto Gem 2025. Un'analisi approfondita sul 34° posto nella classifica globale
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Italia e imprenditorialità: luci e ombre nel Rapporto Gem 2025. Un'analisi approfondita sul 34° posto nella classifica globale

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I dati del rapporto Gem mettono in luce progressi, criticità e sfide del tessuto imprenditoriale italiano: focus su manifatturiero, divario di genere e tendenze emergenti

Introduzione: il contesto del Rapporto Gem 2025

Il Rapporto Gem 2025 (Global Entrepreneurship Monitor) rappresenta uno degli strumenti di analisi più autorevoli a livello internazionale per fotografare la densità, la vitalità e il potenziale imprenditoriale delle diverse economie mondiali. L’edizione di quest’anno, ha acceso i riflettori su dati che raccontano un Paese ancora alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e innovazione, dove le luci (progressi) e le ombre (persistenti criticità) coesistono nella complessa arena imprenditoriale italiana.

Analizzare la propensione imprenditoriale Italia significa capire a fondo non solo le tendenze macroeconomiche, ma anche le specificità di genere, la situazione settoriale (in particolare il manifatturiero Italia 2024) e la dinamicità delle nuove imprese, in particolare quelle femminili, in un contesto lavorativo in continua trasformazione.

La posizione dell’Italia nella classifica di imprenditorialità globale

Secondo la classifica imprenditorialità globale stilata dal Rapporto Gem 2025, l’Italia si colloca al 34º posto per propensione imprenditoriale, dietro numerosi Paesi europei e non solo. Un posizionamento che, se da un lato potrebbe sembrare deludente per una delle economie più avanzate e creative del Vecchio Continente, dall’altro lascia intravedere segnali di potenziale crescita soprattutto nel medio termine.

L’analisi dei dati imprenditoriali dimostra come la posizione italiana sia frutto di una combinazione di fattori tra cui la scarsa cultura imprenditoriale diffusa, la percezione del rischio, le difficoltà burocratiche e fiscali, e un ecosistema dell’innovazione che sconta ancora una certa frammentazione e carenza di robusti incentivi.

Le cause che portano l’Italia al 34° posto nel ranking mondiale non sono meramente statistiche, ma affondano le radici nella storia e nell’attuale organizzazione del sistema produttivo nazionale, dove le piccole e medie imprese rappresentano il cuore pulsante ma al contempo risentono più di altri contesti delle turbolenze di mercato e delle trasformazioni globali.

Dati chiave: propensione imprenditoriale e tassi di attività

Il Rapporto Gem 2025 offre uno spaccato significativo della propensione imprenditoriale Italia attraverso l’analisi di alcuni indicatori strategici, primo fra tutti il TEA (Total Early-stage Entrepreneurial Activity), ovvero il tasso di attività imprenditoriale nelle fasi iniziali.

Il dato più rilevante emerso dal report è l’aumento del TEA dal 2% nel 2020 al 9,6% nel 2024. Questa crescita rappresenta senza dubbio un segnale positivo, sintomo di una maggiore vivacità, soprattutto fra le nuove generazioni, che intravedono nell’avvio di attività proprie una via alternativa al lavoro dipendente.

Tuttavia, occorre sottolineare come questo incremento sia avvenuto in un contesto di profonde trasformazioni economiche e sociali, segnate negli ultimi anni dai lasciti della pandemia, dalla digitalizzazione forzata di molti processi produttivi e dall’esigenza di ripensare le filiere tradizionali.

Contrazione del manifatturiero: prospettive e conseguenze

Un dato di particolare preoccupazione evidenziato dal rapporto riguarda il settore manifatturiero, tradizionalmente pilastro dell’economia italiana: secondo le cifre presentate, si registra una contrazione del 75-80% rispetto al 2010.

Questo collasso si traduce non solo in una perdita di posti di lavoro e di competenze specifiche fondamentali, ma anche in un indebolimento dell’appeal internazionale del made in Italy. Di fronte a tali numeri, la ripresa del manifatturiero appare come una priorità assoluta per le politiche industriali del Paese, soprattutto nell’ottica di una transizione green e digitale che rispetti la tradizione ma abbracci l’innovazione.

Le cause individuate sono svariate:

  • La delocalizzazione produttiva e la concorrenza dei mercati emergenti;
  • Una scarsa propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo;
  • L’invecchiamento della forza lavoro specializzata;
  • La difficoltà nell’accesso al credito per le piccole imprese.

Rilanciare il manifatturiero Italia 2024 significa investire nella formazione tecnica, incentivare la riqualificazione settoriale e sostenere l’internazionalizzazione delle aziende che ancora popolano il tessuto produttivo nazionale.

Divario di genere nell’imprenditoria italiana

Uno degli aspetti più discussi, nonché uno dei dati forse più sorprendenti del rapporto Gem 2025, riguarda le differenze di genere nuove imprese Italia. Il cosiddetto "gender gap" nell’avvio di nuove imprese rimane drammaticamente marcato: le donne avviano nuove imprese molto meno degli uomini, con un divario del 50%.

Questa distanza non è frutto esclusivo di fattori culturali e sociali, ma anche di ostacoli più strutturali:

  • Minore accesso a capitale e finanziamenti
  • Difficoltà di conciliazione tra vita privata e imprenditoriale
  • Stereotipi ancora radicati nel mondo del lavoro
  • Assenza di modelli femminili di successo nel settore

Nonostante alcune regioni (soprattutto nel Nord Italia) abbiano sperimentato iniziative di supporto e incentivi alle start up femminili Italia, la disparità persiste, rappresentando una delle principali sfide per il tessuto produttivo italiano negli anni a venire.

Focus sul TEA: dal 2% al 9,6% in quattro anni

Il tasso di attività imprenditoriale (TEA) rappresenta uno degli indicatori di maggior interesse dell’intero report. Il salto compiuto dal 2% del 2020 al 9,6% nel 2024 indica un periodo di dinamismo, stimolato sia da necessità contingenti (crisi economiche, nuove forme di disoccupazione, smart working) che da una crescente consapevolezza e formazione imprenditoriale tra i giovani.

Questa crescita tuttavia va contestualizzata: molti neo-imprenditori scelgono l’autoimpiego come soluzione all’assenza di opportunità stabili nel mercato del lavoro dipendente. Il rischio di una imprenditorialità "di necessità" piuttosto che "di opportunità" permane, soprattutto per le fasce d’età più basse e in alcune aree del Sud.

L’incremento del tasso attività imprenditoriale va letto dunque in modo ambivalente: da un lato rappresenta una nuova linfa per il sistema produttivo, dall’altro rischia di fotografare un’Italia “imprenditorialmente fragile”, composta da micro-imprese a basso valore aggiunto e a limitata crescita.

Il ruolo delle start up femminili nel panorama italiano

Benché cresciute negli ultimi anni, le start up femminili Italia scontano ancora ritardi strutturali rispetto alla media europea. Gli ultimi dati del rapporto indicano che la percentuale di nuove imprese guidate da donne si ferma a un livello significativamente inferiore rispetto a quella maschile, con picchi negativi soprattutto nei settori tecnologici e nei territori tradizionalmente più svantaggiati.

Tra le possibili soluzioni individuate dagli esperti per colmare il divario di genere:

  • Rafforzamento delle politiche di sostegno al credito per imprenditrici
  • Mentorship e networking pensati per donne imprenditrici
  • Introduzione di programmi a sostegno della conciliazione lavoro-famiglia

L’accelerazione della presenza femminile nell’imprenditoria rappresenterebbe per il sistema Italia non solo un’opportunità di crescita economica diretta, ma anche un moltiplicatore di innovazione, resilienza e inclusione sociale. Incentivare le start up femminili Italia significa quindi lavorare su più piani: culturale, normativo e finanziario.

Le criticità e i punti di forza del mercato del lavoro italiano

L’analisi del mercato del lavoro in Italia mette in risalto un quadro composito. Se da una parte la domanda di nuove competenze legate a digitalizzazione, sostenibilità e servizi avanzati è in crescita, dall’altra molti imprenditori lamentano ancora:

  • Eccesso di burocrazia e tempi lunghi per avviare un’impresa
  • Pressione fiscale superiore alla media UE
  • Scarsa cultura collaborativa nelle filiere produttive
  • Limitata propensione a fare rete e a condividere innovazione

In aggiunta, la presenza di territori molto dinamici (Nord-Est, alcune aree del Centro) si contrappone a regioni dove le opportunità restano rare e le infrastrutture poco adeguate.

Il punto di forza risiede nella qualità del capitale umano, nella creatività diffusa e nella tenacia degli imprenditori italiani che, nonostante tutto, continuano a reinventarsi e a sperimentare nuove strategie di mercato.

Le strategie per incentivare l’imprenditorialità in Italia

A partire dal quadro disegnato dal Rapporto Gem 2025, emergono alcune proposte operative per il rilancio dell’imprenditorialità italiana:

  1. Semplificazione normativa: snellire procedure e tempi per l’avvio di impresa.
  2. Accesso facilitato al credito: ampliare soluzioni di microfinanza e venture capital, in particolare rivolte alle donne e ai giovani.
  3. Rafforzamento degli incubatori e acceleratori: favorire “hub” che uniscano formazione, networking e accesso a investitori.
  4. Formazione imprenditoriale a scuola e università: integrare percorsi di educazione all’imprenditorialità fin dai primi cicli formativi.
  5. Cooperazione pubblico-privato: realizzare piani locali di sviluppo calati sulle specificità territoriali.
  6. Promozione delle start up femminili e giovanili: attraverso voucher, mentoring e incentivi mirati.

Queste misure, se integrate e promosse con visione sistemica, potrebbero rappresentare una leva concreta per migliorare il posizionamento della propensione imprenditoriale Italia nelle future classifiche globali.

Conclusioni: tra sfide e opportunità future

Il Rapporto Gem 2025 racconta un’Italia imprenditoriale in trasformazione, capace di mostrare segnali di crescita nel tasso di attività imprenditoriale, pur restando lontana dalle posizioni di vertice della classifica internazionale. Il crollo del settore manifatturiero, unito al marcato divario di genere e alla persistente difficoltà di fare sistema, pongono sfide non più eludibili per il Paese.

Eppure, i segnali di reazione non mancano: la crescita del TEA, la vivacità delle micro-imprese nei territori più attivi e i segnali incoraggianti nel segmento delle start up innovative dimostrano che il potenziale non manca. Occorre dunque un radicale cambio di passo nelle politiche pubbliche e una corresponsabilizzazione degli attori privati su temi come innovazione, formazione e inclusione.

Arrivare nella top 20 della classifica imprenditorialità globale nei prossimi anni non è un miraggio, a patto che si metta mano a riforme profonde e si costruisca una cultura dell’imprenditorialità diffusa, plurale e inclusiva.

È solo generando reti, valorizzando la diversità e puntando a uno sviluppo sostenibile che l’Italia potrà aspirare ad essere protagonista nella nuova economia globale del XXI secolo.

Pubblicato il: 12 maggio 2025 alle ore 13:24

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