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La fede sotto assedio: società dei consumi e l’eredità di Pasolini
Cultura

La fede sotto assedio: società dei consumi e l’eredità di Pasolini

Disponibile in formato audio

Un’analisi sull’impatto culturale e spirituale del consumismo e la visione pasoliniana tra crisi religiosa e trasformazione antropologica

La fede sotto assedio: società dei consumi e l’eredità di Pasolini

Indice

  1. Introduzione: La fede e la modernità
  2. Pasolini e la mutazione antropologica
  3. Chiese vuote e riti disertati: la crisi della pratica religiosa
  4. Il declino dei matrimoni religiosi e i suoi significati
  5. Società dei consumi: oltre la secolarizzazione
  6. Le critiche di Pasolini al consumismo
  7. Cultura e spiritualità in Italia tra passato e presente
  8. L’indifferenza religiosa e i nuovi paradigmi della fede
  9. Analisi sociologica e dati a confronto
  10. Conclusioni: la lezione di Pasolini oggi

Introduzione: La fede e la modernità

Il rapporto tra religione e società è sempre stato al centro degli studi accademici, del dibattito pubblico e della riflessione culturale italiana. Nel corso degli ultimi decenni, tuttavia, questo legame si è trasformato radicalmente. In Italia, la nazione che più di tutte si identifica con il cattolicesimo come elemento fondante della propria identità storica e culturale, si osservano fenomeni inquietanti: le chiese sono sempre più vuote, i riti religiosi vengono frequentemente disertati e il declino dei matrimoni religiosi è oramai certificato dai dati anagrafici. Tale fenomeno non può essere liquidato semplicemente come “secolarizzazione”; il suo impatto si spinge ben oltre la sfera privata, diventando autentica mutazione antropologica.

In questo contesto, il pensiero di Pier Paolo Pasolini emerge come una delle chiavi interpretative più autorevoli e provocatorie per comprendere la crisi della fede e la profonda trasformazione spirituale dell’Italia contemporanea. La sua analisi critica della società dei consumi, in particolare, offre spunti di riflessione ancora oggi attuali sulla realtà della fede religiosa in Italia.

Pasolini e la mutazione antropologica

Pier Paolo Pasolini, intellettuale e artista poliedrico, aveva intuito già negli anni Settanta una trasformazione profonda, che oggi definiremmo propriamente “antropologica”, causata dall’avanzata della società dei consumi. Nei suoi scritti e nei suoi interventi pubblici, Pasolini affermava che il consumismo non si limitava a ridisegnare i comportamenti economici o le mode, ma produceva cambiamenti strutturali nella coscienza collettiva, nell’immaginario e persino nei desideri individuali. “La società dei consumi ha prodotto una mutazione antropologica”, sosteneva, riferendosi a un nuovo essere umano, distante da quello che aveva attraversato i secoli segnato, nel bene e nel male, dalla religiosità tradizionale.

Tale mutazione implicava una perdita di senso, una frattura nel rapporto fra l’umano e il sacro, il terreno e il trascendente. Se prima la fede era esperienza condivisa, taumaturgo collettivo capace di organizzare riti, feste, convenzioni sociali e morali, ora diventava sempre più “una faccenda privata” – e spesso marginale – nella vita del singolo individuo. Pasolini vedeva in questo passaggio un evento epocale, che andava ben oltre la vita spirituale, influenzando profondamente la stessa struttura del vivere sociale.

La riflessione pasoliniana trova oggi conferma empirica nella crescente indifferenza religiosa, nella rarefazione del senso del sacro e nella fragilità delle comunità parrocchiali, fenomeni che pagano il tributo a un cambiamento molto più profondo di una semplice evoluzione storica.

Chiese vuote e riti disertati: la crisi della pratica religiosa

Uno degli indicatori più visibili della crisi religiosa italiana è la progressiva desertificazione delle chiese. Se, fino agli anni Sessanta, la frequentazione delle funzioni religiose rappresentava un appuntamento settimanale condiviso, oggi sono sempre meno gli italiani che prendono parte attivamente alla vita parrocchiale. Il segno forse più tangibile di questa crisi è rappresentato dalle chiese vuote, un tempo centri vitali delle comunità e ora spesso ridotte a monumenti silenziosi.

Le cause di questo abbandono sono molteplici. Accanto al processo generale di secolarizzazione – inteso come declino dell’influenza religiosa nella società moderna – si aggiunge un progressivo disinteresse verso i rituali e le cerimonie religiose. Tale disaffezione si accompagna a una crescente invisibilità del sacro nella vita quotidiana, aggravata dalla frenetica corsa ai consumi, dall’atomizzazione sociale e da una prospettiva individualista che non cerca più punti di appoggio nella tradizione religiosa.

Studi recenti, come quelli proposti dall’ISTAT e da istituti di ricerca sociale, evidenziano un crollo delle presenze alle messe domenicali e una difficoltà crescente nel coinvolgimento dei giovani alle attività religiose. Questa progressiva marginalizzazione delle pratiche religiose segnala una frattura nella trasmissione generazionale della fede, che appare sempre più scollegata dal tessuto sociale e culturale nazionale.

Il declino dei matrimoni religiosi e i suoi significati

In questo contesto di cambiamento, uno degli aspetti più spesso citati dagli studiosi è il declino dei matrimoni religiosi in Italia. Si tratta di un fenomeno che fotografa non solo la perdita di centralità delle istituzioni religiose nella vita degli individui, ma anche una mutazione dei valori collettivi.

Negli ultimi vent’anni, i dati diffusi dal Ministero dell’Interno e dall’ISTAT mostrano una diminuzione pressoché costante delle celebrazioni matrimoniali religiose rispetto ai matrimoni civili. Sempre più coppie scelgono il rito civile o addirittura la convivenza senza alcun vincolo formale. Il matrimonio, che per secoli aveva rappresentato non solo un vincolo giuridico ma soprattutto un sacramento e un rito di passaggio fondamentale, perde la propria carica simbolica nell’orizzonte di significato della società moderna.

Questa tendenza non è soltanto frutto di una maggiore laicizzazione o di una ridefinizione dei rapporti tra Stato e Chiesa. Piuttosto, come notava già Pasolini nelle sue denunce pubbliche, il fenomeno va letto nel più ampio processo di mutazione antropologica: il modello della società dei consumi induce a privilegiare esperienze più fluide, reversibili, basate sulla soddisfazione istantanea dei desideri e meno sulle scelte definitive, come quelle sancite dal matrimonio religioso. Ciò non significa, tuttavia, che manchi il bisogno di senso o di comunità; semplicemente, questi bisogni assumono forme nuove e meno tradizionali, spesso slegate dal cristianesimo storico.

Società dei consumi: oltre la secolarizzazione

La cosiddetta “crisi della fede” in Italia è spesso spiegata attraverso il concetto di secolarizzazione, ovvero la graduale perdita di rilevanza della religione nella vita pubblica e privata. Tuttavia, Pasolini criticava apertamente questa interpretazione, perché la riteneva insufficiente. Egli osservava come la società di massa, nutrita e guidata dalla logica dei consumi, non si limitasse ad allontanare le persone dalla religione in quanto istituzione, ma ne alterasse la struttura stessa del pensiero e dei bisogni.

Ciò che contraddistingue la società dei consumi, secondo Pasolini, è proprio la capacità di reinterpretare – e spesso sostituire – i paradigmi del sacro con quelli del desiderio consumistico. Se nella società tradizionale il rito e la ritualità costituivano strumenti di coesione e trasmissione di senso, lo shopping e l’acquisto di beni diventano ora veri e propri riti collettivi, sostituendo la religiosità classica con un nuovo culto: quello dell’oggetto e dell’esperienza immediata.

In quest’ottica, la crisi della fede religiosa in Italia si presenta come il sintomo di una trasformazione più radicale: non si tratta solo di un rifiuto delle verità cristallizzate dal dogma, né solo di una perdita di autorità della Chiesa, ma di una ridefinizione degli stessi orizzonti dell’immaginario collettivo.

Le critiche di Pasolini al consumismo

Pasolini ha spesso attaccato la società dei consumi per la sua capacità di omologare i comportamenti, cancellando le diversità culturali e spirituali che avevano caratterizzato l’Italia rurale e pre-moderna. Nei suoi scritti, così come nei suoi film, l’artista ha descritto la trasformazione dei valori, il passaggio dal mondo contadino ancora impregnato di spiritualità propria, a un universo urbano, massificato e sempre più sganciato dall’esperienza religiosa.

Uno degli elementi centrali della sua critica riguarda proprio la derealizzazione e il disincanto. Secondo Pasolini, la nuova religione dei desideri fugaci, alimentati dal consumismo, è una risposta illusoria al bisogno umano di senso e di appartenenza. L’immaginario televisivo e pubblicitario, veicoli privilegiati di questa rivoluzione silenziosa, erodono i pilastri della cultura precedente, annichilendo tutto ciò che non sia immediatamente funzionale al sistema produttivo e al mercato.

La perdita di ritualità condivise, la frammentazione sociale e l’indifferenza verso il sacro sono esiti inevitabili di questa rivoluzione, concepita non tanto come processo naturale, ma come strategia deliberata di “distrazione di massa”. In altre parole, secondo Pasolini, il consumismo non si limita a “spiegare” il declino della fede, ma lo determina attivamente, costruendo un nuovo ethos, pragmatico e disincantato, che reclama il dominio sulla sfera interiore e collettiva.

Cultura e spiritualità in Italia tra passato e presente

Il confronto fra la spiritualità del passato e quella odierna restituisce l’immagine di un’Italia profondamente mutata. Se, in passato, la fede religiosa costituiva il fulcro della vita individuale e un tessuto connettivo essenziale per l’identità collettiva, oggi Dominano un pluralismo culturale e spirituale senza precedenti. La presenza di nuovi movimenti religiosi, l’avanzare di pratiche individuali come la meditazione o lo yoga, la riscoperta delle spiritualità orientali o delle filosofie laiche rappresentano alcune delle risposte offerte a quella sete di senso che la modernità non riesce a saziare completamente.

Occorre tuttavia riconoscere che, per quanto marginale rispetto al passato, la fede cristiana – e cattolica in particolare – continua a esercitare una certa influenza nel discorso pubblico e privato. La differenza principale sta negli spazi di negoziazione e nei modi in cui tale fede viene praticata e trasmessa: non più attraverso l’autorità indiscussa della Chiesa o dei suoi riti, ma nella ricerca spesso personale e frammentaria di un significato che possa ancora parlare al presente.

L’indifferenza religiosa e i nuovi paradigmi della fede

Il tratto più caratteristico della società contemporanea, in relazione alla fede, non sembra essere tanto l’incredulità o l’anticlericalismo, quanto piuttosto un’indifferenza diffusa verso il fatto religioso in quanto tale. Questo atteggiamento, che Pasolini aveva già riconosciuto come una delle principali conseguenze della società dei consumi, si manifesta nella rarefazione del discorso pubblico sulla fede e nella marginalizzazione della stessa spiritualità come tema rilevante.

La religione viene spesso confinata nella sfera privata, talvolta vissuta come scelta identitaria, ma incapace di farsi cultura condivisa o di orientare realmente i comportamenti sociali e i valori comuni. Rimane però il bisogno di senso, che trova risposte in forme talvolta sincretiche, altre volte del tutto secolarizzate, come l’attivismo sociale, le nuove comunità web, le identità fluide e personalizzate.

Analisi sociologica e dati a confronto

A sostenere l’analisi pasoliniana ci sono ormai decenni di indagini sociologiche e statistiche. L’ISTAT, ad esempio, mostra come la pratica religiosa in Italia sia costantemente in calo e come il dato anagrafico giochi un ruolo centrale: i giovani, in particolare, si dichiarano sempre meno credenti e praticanti. Parallelamente, aumenta la percentuale di «atei dichiarati» o di chi si definisce semplicemente «indifferente» nei confronti del fatto religioso.

Anche il dato sui matrimoni religiosi è eloquente: nel 2023 solo il 35% circa dei matrimoni è stato celebrato in chiesa, contro percentuali superiori al 70% di trent’anni fa. Questi dati vanno letti alla luce della modernizzazione rapida del paese, della ristrutturazione del tessuto sociale, della diffusione dei media digitali e, appunto, della società dei consumi secondo la lettura pasoliniana.

Conclusioni: la lezione di Pasolini oggi

A quasi cinquant’anni di distanza dalla sua morte, Pasolini appare come uno degli interpreti più lucidi della crisi religiosa e spirituale dell’Italia contemporanea. Il suo sconforto – e, forse, il suo pessimismo – di fronte alla mutazione antropologica prodotta dalla società dei consumi rappresenta un monito ancora attuale. Le chiese vuote, il declino dei matrimoni religiosi, l’indifferenza crescente verso la spiritualità sono sì il segno di un cambiamento epocale, ma anche di una nuova occasione di ricerca del significato, di interrogazione sui valori fondanti della convivenza e della cultura collettiva.

Oggi, di fronte a una società disorientata, alla frammentazione delle identità e all’apparente dominio dell’individualismo consumista, la riflessione di Pasolini invita a guardare oltre le soluzioni semplici, a interrogarsi sulle radici profonde della trasformazione in atto e a riscoprire, forse, la necessità di pensare ancora la spiritualità come risorsa per l’uomo contemporaneo. La questione resta aperta: il compito di un nuovo umanesimo potrebbe essere proprio quello di conciliare il bisogno insopprimibile di senso con le sfide del mondo globalizzato e post-religioso – nella consapevolezza, tuttavia, che la società dei consumi continua a ridefinire, giorno dopo giorno, la nostra stessa umanità.

Pubblicato il: 23 luglio 2025 alle ore 07:16

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